I campioni

I campioni non sono costruiti nelle palestre, i campioni sono costruiti con qualcosa che è dentro; un desiderio, un sogno, un’illusione.

Muhammed Alì

Londra – Olimpiadi 2012

Di Alessandra Checchi

Mi è sempre stato detto che nei viaggi di una vita le mete vanno anche ripetute, non solo per gustarne i molteplici aspetti, ma anche e soprattutto per rendersi conto dei cambiamenti che possono essere intervenuti negli anni. Questo elemento di novità l’ho percepito moltissimo qui a Londra.

Nuovissime architetture trovano perfettamente la loro posizione affianco agli edifici storici, senza deturpare, ma creando emozioni nuove: dall’incanto nell’ammirare le opere classiche unito alla sottile malinconia per la consapevolezza della loro irripetibilità, si è piacevolmente rapiti dal nuovo che compare tra antiche guglie e campanili quasi a scuotere da sentimenti nostalgici e rifondere di nuove speranze.

Per non parlare poi di tutto quello che è stato costruito per ospitare le Olimpiadi del 2012!
Per questo evento, sono state riqualificate grandissime aree e tutti ci auguriamo che al termine dei giochi, queste possano continuare a vivere e a servire la popolazione.
“Tutto dipenderà dall’economia!…” – dicono gli inglesi – come sicuramente affermerebbero gli abitanti di ogni paese oggigiorno, ma qui sembrano più convinti, più ottimisti.

Bravi questi inglesi, stanno gestendo un evento così importante egregiamente.
Fiumi di persone tutto il giorno utilizzano l’Underground di Londra per recarsi negli stadi olimpici dislocati in più punti ai margini della metropoli. E’ impensabile memorizzare un percorso per poterlo riutilizzare perché la destinazione dei veicoli cambia da un momento all’altro per favorire una miglior gestione delle masse di tifosi in entrata o in uscita dai centri olimpici. Ma le masse sono fluide e velocemente si arriva a destinazione.

Di fianco a te non mancano mai “ The Purple Men” gli addetti allo smaltimento della folla, nella loro riconoscibile divisa viola e arancio, un sorriso quasi stampato, gentilezza e disponibilità da vendere. La loro voce, che spesso è veicolata da un microfono, è sempre presente per indicarti la via ma anche per darti il benvenuto e augurarti una buona giornata.
Se non ci fossero stati loro mi sarei piacevolmente persa tante volte, distratta dalla gente;
così diversa per la multietnicità ma così uguale nella modalità di partecipazione all’evento olimpico!

Si corre verso lo stadio, ognuno con un proprio simbolo che contraddistingue il paese di appartenenza, chi con uno stemma, una bandiera chi, come gli olandesi, con giacche e intere divise completamente arancioni!

Poi ci sono gli orientali avvolti nei loro Kimoni e comunque con in mano lo stendardo del loro club di judo.

I russi poi, soprattutto atleti, tecnici e staff, così visibili nelle loro divise rosse confermanti un’identità nel judo oggi in grande crescita.

Non potete immaginare l’energia che si respira qui a Londra durante questo evento,
l’energia dello stadio che tifa per il proprio atleta ma che ugualmente sa applaudire e si commuove per colui che vince!

Alessandra Checchi

Judo, la mia cintura nera

Di Martina Treggiari

Quando ho iniziato a fare judo, la cintura nera era vista come un traguardo, un punto di fine. Sembrava una cosa così speciale e lontana da diventare irreale, quasi la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno. Persino quando ho preso la cintura marrone, non ho mai effettivamente pensato a quando sarebbe stato il momento di “procacciarsi” la nera, rimaneva un titolo mistico ed indistinto.

Negli ultimi due anni invece, il concetto si è completamente rivoluzionato.
La cintura nera era tutto fuorché lontana, e invece di essere una conclusione, era piuttosto un lasciapassare, una verifica da superare per dimostrare di avere il diritto di proseguire questa arte che accompagna la mia vita da undici anni, e alla quale ho letteralmente dato sangue, sudore e lacrime.

Non penso che esista nessuno sport che sceglierei al suo posto se potessi tornare indietro, e comincerei allo stesso modo, unica femmina, unica “rotondetta”, in quella palestra sperduta. Della mia prima lezione ho un ricordo nebuloso, di cadute, saluti strani e incomprensibili parole giapponesi che ora mi sono familiari.

A Genova, non ho realizzato davvero quello che era successo nemmeno quando me l’ha comunicato il maestro Paolo, e penso di non aver veramente capito la portata del salto che avevo compiuto fino alla mia prima lezione con indosso la cintura nera. Sento che ora devo assumermi le responsabilità di questo traguardo, di cui non posso non andare fiera.

Eppure ricordo che molte volte ho pensato che non ce l’avrei mai fatta, e lo stress e la tensione minacciavano di farmi arrendere, e abbandonare questo sport che invece amo così tanto.

Fortunatamente c’era sempre qualcuno a spronarmi, a incoraggiarmi, e – perché no – a farmi una bella lavata di capo e a rimettermi in carreggiata. Quindi, forte delle mie esperienze e dei miei errori posso dire, che ne è valsa la pena.

Martina

Ho conquistato la mia cintura nera

Di Alessia Terrusi

Dopo un percorso lungo e a volte difficile, sono riuscita a raggiungere il mio obiettivo e desiderio di diventare “cintura nera”.

Tutto ciò è stato possibile grazie a dei compagni di squadra e dei Maestri meravigliosi che mi hanno aiutata e sostenuta, che hanno sempre creduto in me e non mi hanno mai abbandonata.
Non ci riesco ancora a credere e ogni volta che ci penso non posso non rivivere le forti emozioni provate oggi: un misto di tensione, agitazione, e soprattutto tanta, tanta felicità nel dare soddisfazione a quelle persone che come me ci credevano.

Questo è per me un nuovo punto di partenza e non di arrivo e se dovessi dare un consiglio a qualcuno l’unica cosa che gli direi è che per ottenere ciò che si vuole bisogna crederci fino in fondo, non avere paura di nessuno e soprattutto metterci il cuore.

Un grazie speciale
ai miei Maestri
Paolo e Stefano

Alessia

Judo…

Di Francesco Savoia

“Sin da quando eravamo in età infantile, abbiamo sempre osservato con occhi ricolmi di rispetto e ammirazione tutti quegli artisti e praticanti marziali che ostentavano la loro destrezza e bravura, rendendoci succubi di quei meravigliosi e avvincenti combattimenti.
Quando incontravamo o sentivamo parlare di un esperto di arti marziali cintura nera, lo immaginavamo come qualcuno di inattaccabile e invulnerabile a qualsiasi cosa, quasi fosse un supereroe, e questa convinzione che aleggiava potente e radicata nelle nostre menti, a volte ci spronava e ci motivava ad avvicinarci a una pratica marziale, in modo da emulare quello stereotipo di eroe.

Il Judo è un mezzo per capire quanto sia profondo e difficile il vasto mondo delle arti marziali, senza cadere nell’arroganza dell’esibizionismo ma coltivando uno spirito nobile e duraturo.”

Il Judo non è solamente un mero “sport da combattimento” ma un vero e proprio percorso interiore, che ogni praticante decide di seguire a modo suo.
È una filosofia di vita, un modo di essere per se stessi e per gli altri, è una pratica morale che aiuta a vedere al di là di quello che vedono gli occhi, a valutare se stessi e chi ti sta intorno con sincerità, rispetto, umiltà e obiettività, non con spirito di arroganza e superbia.

Mi sono avvicinato al Judo perché in esso ho visto qualcosa di innovativo, di “pulito”, di corretto, ho potuto toccare il vero significato del valore e del rispetto, dell’onestà e dell’amicizia, qualcosa di completamente diverso da quello che la nostra società odierna, sempre più malata e corrotta ci offre. E sono fermamente convinto che in questa pratica si celi la chiave per la formazione di persone che avranno veramente colto l’intrinseco significato della vita, della prosperità, dell’unione e della ricchezza interiore.

Nel Judo non si finisce mai di imparare, non esiste un traguardo vero e proprio da raggiungere ma solo un percorso da seguire, una “Via” morale che non avrà mai una conclusione vera e propria.

Il Judo è un metodo educativo, non solo una pratica marziale. Innanzitutto perché Metodo-Judo e non semplicemente Judo o arte marziale per quello che sembra essere?

Ho voluto usare la parola Metodo, per indicare che questo “pratica marziale”, non è soltanto uno sport fine se stesso, ma è qualcosa di molto più profondo, è un vero e proprio “Metodo-Educativo” verso se stessi.

Educare il corpo e la mente, questo era il “credo” e la volontà del fondatore, il Prof. Kano Jigoro, un giovane giapponese che dalle ceneri dell’antica arte marziale il Ju Jutsu, creò un metodo nuovo, innovativo: il Metodo- Judo.
Un’arte marziale che aprì le porte ad un nuovo modo di intendere le arti marziali, non più come metodo di supremazia verso il nemico, ma come metodo per migliorare se stessi e la società in cui si viveva.

Il praticante di Judo che beneficiava dei frutti offerti da questa disciplina, era utile per se stesso e per gli altri, e l’avidità, l’arroganza, la cattiveria, l’ignoranza e tutte quelle altre forme negative che fanno parte dell’essere umano, venivano via via cancellate, sostituite da un senso di rispetto reciproco, di amicizia, di unità, di solidarietà e aiuto verso il prossimo.

Lo stesso Kano Jigoro dopo due anni di studi e allenamenti raccontava: “il mio fisico cominciò a trasformarsi… sentivo leggerezza nell’animo e m’accorgevo che il carattere alquanto irascibile che avevo da ragazzo diventava sempre più mite e paziente e che la mia indole acquistava maggiore stabilità.”

Frequento la palestra S.Mamolo di Bologna, la mia città natale in cui vivo, e nei miei compagni vedo un brillante futuro e una solida amicizia che ci lega e ci legherà per sempre, e nei bambini judoka della nostra palestra, nella loro grinta e nel loro “credo Judo”, vedo il futuro che porteranno avanti con e senza di noi.

Il S. Mamolo è una realtà bolognese che si è venuta a creare dal sudore e dell’amore di persone che credono e investono nel Judo, come mezzo di crescita e di sviluppo collettivo. Si potrebbe dire che più di palestra il S.Mamolo sia invece una “Grande Famiglia”, dove il risultato del singolo è il risultato di tutti.

I principi che regolano questa “Famiglia” sono un forte e inscindibile senso di amicizia, di unità e rispetto reciproco al fine di migliorarsi a vicenda, giorno dopo giorno, cercando di sorridere a una delusione, anziché prenderla con tristezza, e rimboccandosi le maniche per cercare di dare il massimo.

Ma tutto questo non si potrebbe concretizzare se non ci fossero delle solide fondamenta che sostengono questa grande realtà, e questo grazie al Maestro Paolo Checchi e al Coach Stefano Rossi, che insieme ad altri esperti si impegnano giorno dopo giorno a dare tutto quello che occorre ai nostri ragazzi e non parlo solo in senso pratico e materiale ma soprattutto morale.

L’impegno, la passione, la costanza e lo sconfinato amore per questa disciplina che il Maestro Paolo Checchi insieme ai suoi istruttori hanno, fanno del S.Mamolo una delle società dilettantistiche di Judo più forti in Italia.

I bambini di oggi sono schiappe nello sport

LA RICERCA NORVEGESE

I bambini di oggi sono «schiappe» nello sport: tutta colpa di computer, auto e tv.
Peggiorate le prestazioni atletiche, soprattutto dopo gli anni 90. Ragazzini sedentari e poca educazione fisica a scuola. C’era da immaginarselo, certo. Ma vederlo scritto nero su bianco sulle pagine dello Scandinavian Journal of Medicine and Science in Sports fa comunque una certa impressione.

«È deprimente», per dirla con le parole di Lejf Inge Tjelta, coordinatore di un’ampia ricerca norvegese che ha messo a confronto le performance atletiche sui 3.000 metri di migliaia di ragazzini nell’arco di 40 anni, scoprendo che le prestazioni dal 1969 al 2009 sono calate di circa il dieci per cento. Perché oggi i bambini si muovono poco, e quindi anche nello sport hanno subito il «fiatone».

STUDIO – Tjetla ha analizzato i registri degli insegnanti di educazione fisica dei decenni scorsi, relativi a circa 5000 bambini della cittadina norvegese di Stavanger.
I dati sono peggio di quanto si aspettava: fino al 1980 la resistenza e la velocità dei piccoli è rimasta più o meno stabile, ma a partire dagli anni 90 c’è stato un crollo verticale e oggi i ragazzini di dieci anni impiegano in media 1’20” in più per correre i 3.000 metri, le ragazzine uno in più, pari a un peggioramento delle performance rispettivamente del 10 e del 6 per cento.

Fra i bambini più mediocri il calo delle capacità atletiche è stato ancora più drastico ma pure i migliori di oggi, rispetto ai più atletici di ieri, sono in condizioni fisiche peggiori e registrano tempi maggiori.

SEDENTARIETÀ

La colpa è tutta della sedentarietà, che nel volgere di pochi anni ha cambiato completamente lo stile di vita e la forma fisica dei bambini.

«Fino agli anni 90 nel loro tempo libero i bimbi uscivano a giocare, perfino qua in Norvegia – osserva Tjetla – Ora stanno di fronte al computer, soprattutto i maschi: questo spiega anche perché i risultati sono peggiorati di più proprio nel sesso maschile».

I ricercatori norvegesi puntano il dito sulla scarsa importanza data all’educazione fisica nei programmi scolastici: «Ogni giorno ci dovrebbe essere un’ora di educazione motoria, fin dalla scuola dell’infanzia. In molte scuole peraltro il poco tempo dedicato alla ginnastica sfuma senza che si faccia davvero movimento, perdendo un enorme potenziale educativo – sottolinea l’esperto – Bisognerebbe investire di più in insegnanti qualificati, in grado di coinvolgere i bambini in attività divertenti, e incoraggiare soprattutto coloro che non fanno sport dopo la scuola. Anche perché se si è molto attivi da piccoli poi è più probabile mantenersi in esercizio e continuare a praticare sport da adulti,
combattendo così sovrappeso e obesità.
Per sconfiggere la sedentarietà nei bambini è anche opportuno ridurre l’uso dell’auto.
Oggi prendiamo la macchina anche per percorrere meno di 3 chilometri, per cui c’è spazio per cambiare cattive abitudini: per far capire ai ragazzi che l’attività fisica è importante basta ad esempio andare in giro in bicicletta per il quartiere piuttosto che salire in auto.

Dobbiamo insegnare ai nostri figli il piacere di mantenersi in forma attraverso il movimento», conclude Tjelta.

Elena Meli

Il vento e una foglia

Di Francesco Savoia

Quando iniziai la pratica del Judo, ero come una foglia staccata dal ramo, smarrita, senza meta e con mille domande nella testa in attesa che qualcuno di più saggio la guidasse.

Quando conobbi il mio primo Maestro, egli divenne il mio Vento per diverso tempo, guidando la fragile foglia in percorsi sereni, insegnandole a non avere paura, che non poteva più stare attaccata a un solido ramo, ma doveva iniziare a percorrere con le proprie forze la sua strada, e se cadeva nove volte, doveva rialzarsi dieci e non arrendersi mai!
Ma poi quel Vento un giorno smise di soffiare, e la foglia che cominciava ad avere sicurezza in se stessa, cadde di nuovo per terra, e rimase lì per diverso tempo, dimenticando quanto fosse dolce il sapore della sicurezza e della gioia.

La piccola foglia che si era tanto affezionata a quel sereno e piacevole Vento, perse la voglia di proseguire su quella retta via, e ne intraprese una che portava nel baratro del buio, dell’insicurezza e della disperazione.

Poi un bel giorno, la foglia si rialzò in piedi, perché aveva trovato due energici e vigorosi, Venti che soffiavano per altre foglie e anche se non erano uguali all’insostituibile Vento che le aveva insegnato i primi passi, decise che non doveva più starsene lì in terra a piangersi addosso, ma che doveva riprendere la propria strada, quella iniziata con il primo Vento e continuare ad andare avanti e crescere.

Ora la foglia è serena, perché è già grande, ma ha ancora molta strada da percorrere,
è guidata da questi due straordinari Venti che giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento, gara dopo gara, gli insegnarono e le infondono quei valori e quella sicurezza di cui ha tanto bisogno e non gli ringrazierà mai abbastanza per tutto quello che fanno.

Rispetto, unione, solidarietà, amicizia, lealtà, gioia, dolore, sorrisi e lacrime, tutto ho trovato, in quel grande cielo e realtà che si chiama San Mamolo.

Per tutto quello che hai fatto per me Enzo e continui a fare da lassù.
Per tutto quello che fate per me Paolo e Stefano su questa terra.
Non vi ringrazierò mai abbastanza.

Un abbraccio Francesco.

JI-TA-KYO-EI = noi e gli altri insieme per progredire

Capitano del San Mamolo Judo

Di Chiara Casadio

E’ un grande onore, per me, essere in questa occasione una portavoce di tutti i ragazzi e le ragazze che quest’anno partecipano al Gran Premio Nazionale di judo del Centro Sportivo Italiano, ormai giunto alla sua 9a edizione.

Questa gara, a cui partecipo da tanti anni, ha sempre rappresentato l’ultimo importante traguardo della stagione, l’ultimo obbiettivo da raggiungere dopo tanto allenamento e impegno costante; non è una semplice competizione, ma un vero e proprio evento da vivere con gioia insieme alla propria squadra, a maestri ed allenatori e a tutti quelli che rendono grande e bello il mondo del CSI.

Quest’anno, poi, da neo-allenatrice provo la gioia di vedere anche alcuni dei miei giovanissimi allievi partecipare per la prima volta (e, spero, prima di una lunga serie) a questo grande avvenimento!

Posso ben immaginare l’emozione che li travolgerà: quel pizzico di paura e ansia, misto a una grande adrenalina e voglia di dare il massimo, che anche io tante volte ho provato!

Ecco, non posso non augurare a loro e a tutti gli atleti che quest’anno si riuniranno a Rovereto un grande “in bocca al lupo” e… buon divertimento!

Chiara Casadio

La mia conquista della cintura nera

Di Francesca Macaluso

Caro Paolo,

questa sera mi sento piena di gioia perché insieme a te e a Stefano ho raggiunto un traguardo sospirato e atteso da tanto tempo. Mi pare di avere raggiunto una meta molto alta e con gioia, amore e affetto spero di condividerla con altri dando tanto di me stessa.

Mi viene spontaneo ripensare agli anni che ho vissuto e lavorato insieme a te. Avevo cinque anni quando ho incominciato, tu mi hai guidata non solo come un bravo Maestro ma anche come un bravo papà.
Sei per me una guida e un punto di riferimento sicuro!
Con tutto il mio affetto

Francesca
Medaglia di bronzo Campionati Italiani Juniores 2011
Cintura nera

Resoconto di una gara vista dal maestro

Domenica 27 febbraio si è svolta la qualificazione per i Campionati Italiani under 20.
Vi hanno partecipato i migliori 90 atleti della regione che fanno del judo quasi una professione, infatti a questa età i migliori atleti vengono scelti dai nostri corpi militari per continuare la scelta del judo professionistico.

Mentre domenica i miei ragazzi si scaldavano prima della gara, osservandoli orgoglioso facevo dentro di me alcune osservazioni: provengono tutti dal mio mondo, li ho allenati per almeno 10 anni due o tre volte alla settimana.
Due di loro si stanno preparando alla maturità scientifica fra qualche mese e gli altri sono al terzo anno del liceo classico o scientifico.
Poi abbiamo un cuoco che il prossimo mese andrà in Germania a lavorare.

Ragazzi splendidi !!

Tutti insieme ordinati con la loro divisa si riscaldavano al centro del palasport.
In questi giorni avevano vissuto momenti di alta tensione, prima per la lotta al peso ( per rientrare nelle categorie di peso ), ed ora perché sfidavano i migliori atleti per rappresentare la nostra regione ai Campionati Italiani e per conquistare quella cintura nera che sognano da tanto tempo.

In gara mentre Stefano il Coach li seguiva da vicino, io li osservavo ancora una volta.
So tutto di loro: i pregi, i difetti, anche gli errori che possono fare, le loro storie importanti,
a volte i loro capricci, le loro faccine rosse, sudate e deluse, quella lacrima che fa capolino dopo aver perso una finale.

E’ difficile dire cosa prova un Maestro in quei momenti, in quei lunghi attimi di gara.
Stai male dentro perché vorresti che tutto ciò che gli hai insegnato venisse fuori.
Fotografi in testa la gara che hai già vissuto 1000 e 1000 volte poi… c’è l’avversario.

La gara è terminata e i miei ragazzi sono saliti sul pulmino pronti a rientrare,
un impegno protratto dalle 6.30 del mattina alle 14.00, erano veramente cotti!!

Nel pulmino mi sono girato e li ho guardati ad uno ad uno; ho spiegato loro cosa non è andato e gli errori fatti… poi mi esce naturale un sorriso e un complimento e vedo i loro visi tornare a sorridere.

Fare l’Educatore e il Maestro di questi ragazzi è per me un grande privilegio e una grande gioia.

Ragazzi splendidi !!

M° Paolo Checchi