Tanti genitori mi chiedono quale sia il segreto della disciplina del judo e, più in generale, della disciplina delle arti marziali.

In tanti mi chiedono, non senza confronti con le derive disciplinari della scuola, in che maniera il maestro riesca ad instaurare con l’allievo una relazione di tale profondità per cui l’apprendimento del bambino si massimizzi ed il suo comportamento si autoregoli.

Io sono solito rispondere che, nelle arti marziali, il chi e il cosa – cioè il maestro e l’allievo, la trasmissione e l’apprendimento – diventano un elemento unico.
I giapponesi direbbero I SHIN DE SHIN, che potremmo tradurre: “da me a te, da cuore a cuore, da spirito a spirito”.

Semplificando, si potrebbe dire che se la trasmissione da maestro ad allievo non si perfeziona, non viene a mancare solo l’effetto didattico, ma il senso primordiale della consegna, della continuità, della relazione.

Ecco che “dal mio cuore e dal mio spirito” va letto come “trasferisco il mio cuore e il mio spirito a te”.

E allora, se l’intento non è semplicemente quello di trasferire argomenti e conoscenza, ma trasfondere e prendersi cura della ricchezza dell’uomo ricollegata all’energia e alle emozioni, va da sé che l’oggetto della trasmissione sia proprio la parte più profonda di sé, che verrà rielaborata dall’allievo, arricchita delle proprie esperienze e personalità ed a sua volta trasferita.

Di qui l’importanza dell’esempio e dell’etichetta che il bambino impara fin da subito sul tatami.
Nel judo, non esistono scadenze, non esistono programmi ministeriali, esistono solo obiettivi da perseguire con tutta la forza e l’amore che si ha.